Editoria e Comunicazione

... e l’Impresa creò l’House organ


Articolo tratto dalla pubblicazione “Impresa ad arte", racconto professionale di Gianfranco Valleriani, presentata a Roma il 6 giugno dal presidente di Ascai
Con i rappresentanti di Federculture, della Fondazione Archivio Storico Eni 
e dell’Associazione dell’Archivio Storico Olivetti

 

Si potrebbe dire: “E l’impresa creò l’house organ”. So che in tempi di mutazioni genetiche, di fluidità e di Intelligenza artificiale il solo nominare il termine “house organ” genera una specie di sussulto e d’imbarazzo. Se poi si afferma che l’house organ non è morto e che ha e avrà vita lunga, alcuni potrebbero addirittura sorridere.
Non si può negare che l’house organ ha avuto vita nel secolo scorso e che negli ultimi decenni hanno preso il sopravvento strumenti virtuali, rapidi ed efficienti. Rimane incontrovertibile la nascita della comunicazione con l’house organ e che tutt’ora questo strumento è destinato ad avere un suo significativo spazio nell’ambito della gamma degli strumenti tecnologici e sofisticati della comunicazione d’impresa. Ma vorrei che fossimo ben coscienti di un dato di fatto storico: che per oltre un secolo l’house organ è stato lo spazio elettivo di sperimentazione e di ricerca di una nuova e più efficace comunicazione dell’impresa con i suoi variegati pubblici che sarebbe riduttivo vederli come interni ed esterni, lavoratori e consumatori, perché essi coprivano l’intera gamma di persone interessate direttamente o indirettamente all’impresa, i famosi stakeholders come sono stati chiamati successivamente.

Le origini
Ma partiamo da una sintetica ricognizione storica dell’house organ, che puntella la nostra coscienza sulla nascita e gli sviluppi della comunicazione aziendale in Italia.
Il primo cosiddetto “house organ” apparve nel 1895: era “La Riviera ligure di Ponente”, della società olearia P. Sasso & figli di Oneglia, con una precisa finalità promozionale, essendo il bollettino pubblicitario della Ditta dell’Olio Sasso di Oneglia (oggi parte del Comune d’Imperia).
L’indole letteraria della pubblicazione è chiara fin dall’inizio. “Senza mai abbandonare l’intento pubblicitario, la rivista si apre progressivamente a collaborazioni di rilievo sia in campo letterario sia in campo artistico; già sul finire dell’Ottocento e più ancora con l’inizio del Novecento, Riviera annovera la collaborazione di autori di rilievo (Luigi Pirandello, Giovanni Pascoli, Guido Gozzano, Dino Campana, Corrado Govoni, Marino Moretti etc.), talvolta al contempo letterati, artisti, critici (Filippo De Pisis, Ardengo Soffici, Emilio Cecchi etc.)”. (1)
La cosà che più colpisce di questa che può essere considerata la prima pubblicazione aziendale è che il “progressivo farsi osservatorio incredibilmente avanzato sia della poesia italiana del primo Novecento”, non fa mai venire meno la finalità pubblicitaria he la rivista ha avuto fin dall’inizio anzi nel suo sviluppo, riaffermando un paradigma storico dei rapporti tra industria, letteratura e arte.
Per esempio l’illustrazione di Plinio Nomellini all’Inno all’olivo di Giovanni Pascoli (pubblicato su «Riviera» nel 1901) che diviene la celebre «musa all’olivo» del manifesto pubblicitario della ditta dell’Olio Sasso poi riprodotto sulle etichette e sulle lattine dell’olio, in uno straordinario connubio di arte, letteratura, comunicazione pubblicitaria e spirito aziendalistico.” La rivista fu pubblicata per quattro anni, prima di trasformarsi in una rivista letteraria.
Nel 1913 arriva il primo numero della “Rivista Fiat”, che sarà sospesa qualche anno dopo con l’arrivo della guerra. Tra la prima e la seconda guerra non sono molte le riviste aziendali, ma tutte meritevoli di grande interesse, concepite come strumenti di promozione delle attività dell’azienda e dei suoi prodotti, con l’obiettivo di rafforzare il senso di appartenenza dei dipendenti e di fidelizzare la clientela. Un elenco, non esaustivo, include: Rassegna dell’azienda Marzotto, 1926; Echi della Rinascente, 1929; Sincronizzando, 1922; Notiziario della Riunione Adriatica di Sicurtà, 1933.

Il boom del dopoguerra: dal modello padronale a quello partecipativo
Ma è dopo la seconda guerra mondiale, per una serie di circostanze materiali e ”esistenziali”, che le riviste aziendali proliferano. “All’inizio degli anni Cinquanta, secondo Rinascita, il mensile diretto da Palmiro Togliatti, le “riviste padronali aziendali” sono una quindicina, - ricorda Bigatti - quadruplicate nel 1956: un anno più tardi sono ormai 82, con una tiratura media di 12.000 copie. E la crescita non si arresta” (2). Secondo Silvio Golzio, docente di statistica dell’università di Torino e direttore generale della SIP, negli anni Sessanta si superano le 100 testate, con una tiratura complessiva di oltre un milione e mezzo di copie. Fa notare giustamente Bigatti che gli house organ erano sicuramente molti di più, se si conteggiano anche i bollettini interni e i semplici notiziari aziendali. (3)
Ci sono riviste rivolte a un pubblico generalista e colto, portatrici di un disegno di modernizzazione culturale del Paese, e altre rivolte esclusivamente ai dipendenti, e quindi con focus sui problemi del lavoro e sulle attività ricreative e assistenziali, fino ai bollettini commerciali per viaggiatori e agenti di commercio.
“Il 33% di questi periodici – ricorda Bigatti - era pubblicato da imprese metalmeccaniche, il 14% da società elettriche, il 10% da società petrolifere, mentre solo il 3,5% da società chimiche”. (4)
Ma di cosa si occupano le prime riviste aziendali? “Essendo rivolte prima di tutto ai dipendenti, si parlava della storia dell’azienda e dei suoi prodotti con l’obiettivo di rafforzare il senso d’identificazione “dipendenti/impresa”; di tutto ciò che serviva a dare l'idea che i lavoratori facessero parte di una grande famiglia: attività ricreative, opere assistenziali, natimortalità ecc. (il giornale non deve dare l'impressione di essere la voce del padrone ma la voce dell’azienda in comunione di spirito con i lavoratori, dirà Golzio); il lavoro e la formazione professionale, visti come mezzo per la propria affermazione e la sicurezza della famiglia: premi di anzianità ecc. In generale, ha osservato Bruno Pischedda, anche le riviste più ambiziose hanno l’obiettivo di familiarizzare i lettori con la modernità e i nuovi modelli di vita e consumo” (5)
Bigatti fa un’osservazione ampiamente condivisibile nel ritenere il periodo del dopoguerra caratterizzato da due aspetti: un’impostazione padronale sul welfare aziendale di stampo paternalistico e una tendenza da parte dell’Area delle risorse umane a introdurre modelli più partecipativi e di ascolto, che però almeno da una parte della rappresentanza sindacale veniva ritenuto solo funzionale all’aumento della produttività dell’impresa e non al rafforzamento dei diritti dei lavoratori. Sono convinto che proprio in questo spaccato, spesso di contrasto, si giocava un forte ruolo della comunicazione aziendale, come spazio di confronto e di rinnovamento della cultura industriale e sociale.

Il dubbio confine tra comunicazione organizzativa e comunicazione esterna
Negli anni 70 e 80 le riviste subiscono un declino di ricerca e innovazione, ma già dalla fine degli anni 80 e poi negli anni 90 il panorama dell’editoria aziendale è molto articolato e a fare comunicazione non sono solo le grandi imprese. L’editoria si diffonde capillarmente nelle grandi e nelle piccole aziende, nel settore privato e in quello pubblico.
La riflessione manageriale e organizzativa, le discipline che cominciano a studiare il mondo dell’impresa, dalla psicoanalisi alla semiotica, agli approcci di psicologia del lavoro all’antropologia, hanno l’effetto di ampliare a dismisura anche la riflessione sulla comunicazione e renderla elemento decisivo della cultura d’impresa.
Saranno le tecnologie, con il nuovo millennio, a creare uno scatto nello sviluppo delle forme della comunicazione, producendo all’inizio un certo smarrimento nel riassetto dei sistemi comunicativi delle imprese. Ma questa è storia di oggi.
Le prime riviste nate, come abbiamo visto, alternavano avvisi commerciali con notizie dell’azienda, comunicazioni al personale, ma anche giochi e notizie curiose. C’era un grande obiettivo di fondo, al di là della prevalenza degli argomenti, ed era quello di fidelizzare i lettori, pubblico generalista o dipendenti che fossero, all’azienda.
Dunque, c’è solo da scegliere se con house organ si vuole identificare solo uno strumento di comunicazione che si rivolge ai dipendenti, oppure la comunicazione tout court dell’azienda.
Per la Treccani si tratta di “periodico pubblicato da un’azienda per informare il proprio personale”. Dello stesso parere è il Cambridge Dictionary, mentre per l’Oxford Dictionary e per Wikipedia, “house organ” è una qualsiasi pubblicazione aziendale destinata a qualsiasi pubblico interno o esterno, “its employees and customers”, e a tutti i vari “stakeholders, sindacati inclusi”.
Le prime riviste aziendali, quelle che nascono nella prima metà del secolo, ma anche quelle che seguiranno negli anni 50, avevano un pubblico di riferimento indifferenziato. Esse si rivolgevano all’insieme delle persone che erano interessate all’azienda, compresi i dipendenti. È solo nei decenni successivi – dagli anni 70 - anche in conformità a un’esigenza di maggiore comunicazione e dunque di una diversificazione di strumenti per i differenti pubblici, che si crea la grande separazione tra comunicazione interna – rivolta esclusivamente ai dipendenti – e la comunicazione esterna, rivolta ai diversi stakeholders dell’azienda. Ed entrambi, a loro volta, diversificano gli strumenti sulla base di diversi obiettivi  comunicativi e target.
Le strade della comunicazione interna e di quella esterna prenderanno dunque direzioni diverse. E collocazioni diverse: quella interna sarà generalmente di competenza della Direzione del Personale, quella esterna entrerà nell’ufficio delle Relazioni Esterne. Una diversificazione che coniuga il progressivo arricchimento delle politiche di comunicazione e dei pubblici di riferimento con la moltiplicazione degli strumenti di comunicazione che le nuove tecnologie di trasmissione audio e video metteranno a disposizione delle aziende. Questo rapporto tra evoluzione delle tecnologie e sviluppo dei sistemi di comunicazione accompagna i due sistemi comunicativi dall’inizio fino ai giorni nostri.

Il percorso di Ascai verso la comunicazione interna
Ma anche la comunicazione interna ha seguito un suo percorso “evolutivo”, che continua ad andare avanti, con lo spirito dei tempi e soprattutto delle nuove tecnologie. E soprattutto ha avuto, a partire dal 1954, una propria associazione: l’ASAI, acronimo di Associazione Stampa Aziendale Italiana, nata nel 1954. L’Asai si rivela subito per essere un presidio specifico degli addetti alla “comunicazione interna”.
L’Associazione, nella sua fase di partenza, aveva forte sostegno della Sip, da sempre una delle aziende più attive sui temi della comunicazione, che spesso metteva i propri spazi a disposizione per le attività dell’associazione. L’Asai, nella mia esperienza di partecipazione all’Associazione a metà degli ani ‘80, è fondamentalmente un sistema di relazioni tra manager di quelle aziende che per prime hanno affrontato i temi della comunicazione e della comunicazione interna nello specifico. Le attività dell’Associazione erano volte essenzialmente a definire lo stato dell’arte della comunicazione all’interno delle imprese e a capire le nuove problematiche che nascevano con l’evolversi, rapido in quegli anni, delle politiche di comunicazione delle aziende. Un forte spirito d’identità e una presenza significativa soprattutto delle aziende medio grandi.
“Nell’autunno del 1950 alla Società Idroelettrica Piemonte, passata alla storia con l’acronimo SIP, si deve il grande merito di avere riunito in un convegno per la prima volta il gotha dell’imprenditoria nazionale, spontaneamente, senza patrocinio né di autorità, né di organizzazioni” puntualizza Maurizio Incletolli, presidente in carica dell’Ascai. (6)
Nel febbraio del 1955 venne costituita a Milano l’Associazione della Stampa Aziendale Italia – ASAI. Il passaggio da Asai ad Ascai – Associazione dei comunicatori aziendali italiani – avviene negli anni della presidenza Benzoni, nel 1989, a indicare proprio quell’evoluzione delle attività di comunicazione e del ruolo che si arricchisce di competenze tecniche e gestionali, che trasformeranno i manager nella gestione della comunicazione interna, dei “comunicatori d’impresa”. Negli anni l’Ascai ha seguito con attenzione gli sviluppi della comunicazione interna nell’ambito di una politica complessiva di comunicazione da parte delle aziende, con ricerche e approfondimenti sulle competenze e sull’evoluzione degli strumenti di comunicazione legata al rapido sviluppo delle nuove tecnologie. “Ascai - si legge nel sito dell’associazione - è per questo Centro propulsore di cultura, saperi e abilità tecniche tra professionisti della comunicazione d'impresa e rete di collegamento per favorire l'incontro tra responsabili e operatori della comunicazione di aziende, enti e associazioni. (7)
I comunicatori “interni” non sono diminuiti; hanno cambiato funzione e soprattutto hanno ampliato le loro competenze. La capacità dell’Associazione è stata quella di non separare mai gli strumenti dalle politiche, facendo leva proprio su quella funzione organizzativa che si rivelerà l’aspetto strategico e centrale anche per la comunicazione interna del post-millennio digitale.


Note Bibliografiche
  1. Giorgio Bigatti, Gli House organ in Italia tra sperimentazione e ricerca del Consenso, “Doppiozero”, 16 marzo 2016. 
  2. Ibidem
  3. Ibidem
  4. Imprenditori passati in rivista, Il Sole 24 Ore, 4 settembre 2011
  5. Gianfranco Valleriani (a cura di), Nodi Incontri sulla comunicazione d’impresa, Calamo, Roma, 1996 - con contributo di: Aris Accornero, Enrico Auteri, Gianfranco Bazzigaluppi, Giovanni Bechelloni, Paolo Benzoni, Luigi Berlinguer, Omar Calabrese, Ruggero Cesaria, Domenico De Masi, Giuseppe De Rita, Jean Marie Floch, Fernando Flores, Aldo Fumagalli, Mario Grandi, Gianfranco Imperatori, Bruno Manghi, Mario Morcellini, Ikujiro Nonaka, Richard Normann, Franco Ratti, Stefano Rolando, Tomaso Tommasi Di Vignano, Mario Unnia, Francisco Varela.
  6. Maurizio Incletolli (a cura di), Dalla carta al web, Origini, evoluzione e tendenze dell’editoria aziendale in Italia, Ascai, Roma, 2020
  7. https://www.ascai.it/