Rapporto Censis sulla Comunicazione

La Grande Trasformazione dei Media


I processi chiave di dieci anni di cambiamenti ALLA LUCE DELLA CONSUETA FOTOGRAFIA SCATTATA DAL CENSIS. NEL SUO TREDICESIMO RAPPORTO LA STORIA DI UNA RIVOLUZIONE COPERNICANA PARTITA DA LONTANO E AMPLIFICATA DAL BOOM DEI MEDIA DIGITALI

 

 

Grazie alla diffusione delle tecnologie digitali si è compiuta una rivoluzione copernicana che ha portato l’io-utente al centro del sistema, con un enorme accrescimento delle sue facoltà e un innalzamento notevole del grado di soddisfazione dei suoi bisogni e desideri raggiunto attraverso internet e i dispositivi digitali.

La personalizzazione dei palinsesti
Il primo passaggio della grande trasformazione è consistito nella moltiplicazione e integrazione dei media, cui ha corrisposto l’attitudine degli utenti alla personalizzazione del loro impiego, sia con riferimento alle fonti di informazione, sia per l’accesso ai contenuti di intrattenimento. Ora l’io-utente si sposta autonomamente all’interno dell’ampio e variegato sistema di strumenti mediatici disponibili per comporre i propri palinsesti personali, rintracciando i contenuti di proprio interesse secondo i tempi e i modi a lui più consoni, assecondando le sue preferenze e i suoi bisogni, facendo individualmente arbitraggio tra vecchi e nuovi media, per arrivare ad assortire una miscela di consumi mediatici a misura di se stesso. Con la desincronizzazione dei palinsesti collettivi risulta tendenzialmente superata la dimensione gerarchica che attribuiva alle fonti tradizionali il ruolo insostituibile ed esclusivo di emittenti dei messaggi professionali e autorevoli dell’informazione mainstream, sostituita dalla prassi dell’autoassemblaggio delle fonti nell’ambiente web e da una matrice di flussi continui di informazioni propagate in una dimensione orizzontale.

L’ingresso nell’era biomediatica
Il secondo passaggio della grande trasformazione ha coinciso con il rafforzamento della tendenza alla personalizzazione dei media grazie alla miniaturizzazione dei device tecnologici e alla proliferazione delle connessioni mobili, e grazie alla tecnologia del cloud computing e alla diffusione delle app per smartphone e tablet: tutti strumenti in grado di ampliare le funzioni delle persone, potenziarne le facoltà, facilitarne l’espressione e le relazioni, sancendo il primato dell’io-utente. Siamo entrati in quella che il Censis ha definito “era biomediatica”, caratterizzata dalla trascrizione virtuale e dalla condivisione telematica delle biografie personali attraverso i social network: soggetto e oggetto della comunicazione tendono a coincidere. Si è così inaugurata una fase nuova all’insegna della primazia dello sharing sul diritto alla riservatezza: l’io è il contenuto e il disvelamento del sé digitale è la prassi. Da questo punto di vista, Facebook si inserisce a pieno titolo nella grande saga della costruzione della soggettività che caratterizza in modo essenziale la contemporaneità. Il soggetto-utente si ritrova al centro del sistema mediatico, non solo in virtù della possibilità di costruirsi autonomi percorsi individuali di fruizione dei contenuti e di accesso alle informazioni, svincolato dalla logica top-down del passato che implicava l’ancoraggio alla rigida programmazione delle emittenti tradizionali e una comunicazione unidirezionale verticale dei messaggi da parte delle fonti ufficiali destinata a un pubblico passivo, ma anche grazie alla diffusione dei contenuti liberamente generati dall’utente stesso. Proprio grazie alle tecnologie digitali, il singolo non è più semplicemente uno spettatore inattivo, ma diventa un potenziale produttore di contenuti attraverso media diversi e integrati tra loro, secondo una nuova fenomenologia di produzione di massa individualizzata. Fino ad arrivare alla fenomenologia del selfie nella società del casting personale di massa: emblema plastico della concezione dei media come specchi introflessi in cui il soggetto può riflettersi narcisisticamente. L’individuo si specchia nei media (ne è il contenuto) creati dall’individuo stesso (che ne è anche il produttore): i media sono io.

Il nuovo ciclo dell’economia della disintermediazione digitale
Con la diffusione dei media digitali, il cui sviluppo ha raggiunto il punto più avanzato nella combinazione di internet e connessioni mobili, si avvia così il nuovo ciclo dell’economia della disintermediazione digitale. Per i cittadini e i consumatori, con i nuovi dispositivi digitali (gli smartphone, soprattutto) si amplia notevolmente la gamma degli impieghi di internet, che oggi consente di rispondere a una pluralità di bisogni degli utenti molto più sofisticati rispetto alla sola esigenza di comunicare e informarsi (dall’home banking all’e-commerce, dai rapporti con le amministrazioni pubbliche alla condivisione di beni e servizi), finendo così per spostare la creazione di valore da filiere produttive e occupazionali tradizionali in nuovi ambiti. Tende a scomparire la mediazione tra il fornitore dei servizi e l’utente finale, visto che ad esempio non è più necessario recarsi all’agenzia turistica per prenotare un viaggio oppure in un negozio di calzature per comprare un paio di scarpe.

I media digitali tra élite e popolo
Oggi all’analisi dei mutamenti in corso bisogna aggiungere un nuovo tassello interpretativo, riassumibile in una tesi: gli strumenti della disintermediazione digitale si stanno infilando come cunei nel solco di divaricazione scavato tra élite e popolo, prestandosi all’opera di decostruzione delle diverse forme di autorità costituite, fino a sfociare nelle mutevoli forme del populismo, antisistema e radicale, che si stanno diffondendo rapidamente in Europa e in Occidente. Si tratta di una sfiducia nelle classi dirigenti al potere e di un rigetto di istituzioni di lunga durata che si saldano alla fede nel potenziale di emancipazione delle comunità attribuito ai processi di disintermediazione resi possibili dalla rete. Pesa naturalmente la delusione per una governance europea che ha mostrato tutta la sua fragilità e inefficacia alla prova della dura recessione economica di questi anni e nella gestione degli esodi migratori: eventi epocali che hanno ampliato la distanza tra istituzioni e popoli. Ma in consistenti porzioni della società si sta radicando un nuovo mito fondativo della cultura web: la convinzione che il lifelogging, i dispositivi di self-tracking e i servizi di social networking, congegnati nella Silicon Valley e diffusi in modo capillare in tutto il mondo, capaci di registrare in tempo reale, immagazzinare e condividere dati su tutto quello che facciamo, potranno fornire ai bisogni delle comunità risposte più efficaci, veloci ed economiche di quanto finora sia stato fatto. Per migliorare così non soltanto il nostro benessere personale attraverso comportamenti più corretti (che si tratti di promuovere una sana alimentazione o magari un’adeguata attività sportiva sotto la sorveglianza di una specifica app), ma anche e soprattutto per raggiungere la piena trasparenza nelle decisioni pubbliche (dando soddisfazione ai movimenti antipartitici, sostenitori della democrazia diretta favorita dalle reti aperte, per sbarazzarsi infine dei politici presuntamene corrotti e incapaci), per arrivare a un uso finalmente smart degli spazi urbani, per accedere a transazioni finanziarie per mezzo di circuiti alternativi alle screditate banche tradizionali (da PayPal ai bitcoin), fino ad arrivare a risultati inediti anche per quanto riguarda la sicurezza e la giustizia (grazie ai big data e alla rinuncia a qualche porzione della privacy online individuale).